Quello è matto!

«QUELLO È MATTO!»


Proprio questo deve essere stato il primo pensiero di chi, mercoledì 7 agosto del 1974, alzava lo sguardo dopo aver saputo dagli altri passanti che cosa stava succedendo sui tetti del World Trade Center di New York, 417 metri più in alto. E sicuramente doveva esserlo, perché solo un matto può decidere di compiere un’impresa del genere – camminare senza cavi di sicurezza su un filo sospeso tra la Torre Nord e quella Sud – senza permessi, spacciandosi per giornalista per fare i sopralluoghi, spingendo i suoi compagni di avventura a fingersi operai per poter accedere ai tetti. Doveva esserlo se non si era fermato subito dopo la prima passeggiata sul vuoto. Invece era tornato indietro e poi di nuovo indietro per otto volte, si era seduto sul cavo, si era sdraiato e aveva salutato noi qua in basso che avevamo dimenticato i nostri impegni, l’ufficio, la spesa per guardarlo. Tutti con il naso all’insù.
«Ma chi è?»
«Che sta facendo?»
«Ma è legato?»
«Adesso cade…»
È questo che fa il matto: sospende il tempo. Ci fa dimenticare chi siamo e ci trasporta in un’altra dimensione, ribaltata, dove non esistono più lavoro o impegni sociali, non esistono regole, i vecchi diventano bambini, l’emozione spinge da parte la razionalità. Il matto ci guarda negli occhi, ci tiene per mano e ci fa camminare otto volte insieme a lui sul filo tirato tra le Twin Towers.
Che cosa ci porta ad applaudire a teatro una persona che si traveste e fa finta di trovarsi in un mondo che non esiste? Perché ci piace ascoltare qualcuno che emette suoni da un attrezzo fatto di legno e metallo e si agita su un palco inondato di luci lampeggianti? Che cosa c’è di seducente in chi, vestito in modo appariscente, ci intrattiene all’angolo della piazza facendo volteggiare delle sfere colorate con le mani? Accadeva lo stesso con il giullare medioevale, che era un cantastorie, un attore, un saltimbanco, un ballerino, un mimo esperto nei modi di far divertire il pubblico. Viveva ai margini della società insieme a prostitute, frati eterodossi, vagabondi ma poteva al contempo accedere ai palazzi dei nobili. Il giullare era l’unico che poteva prendersi beffe del potere senza timore di venire punito. Caricava su di sé tutta la responsabilità, e l’onore, di poter urlare, come la voce innocente di un bambino, che il re è nudo.
Le Twin Towers erano i più alti grattacieli del mondo, simboli di potere e ricchezza, e quest’uomo esile, in calzamaglia nera, le ha addomesticate con un gesto semplice, che solo lui poteva compiere. In equilibrio insieme a lui, là sopra, c’erano tutti. C’erano i suoi amici, c’era il pubblico, c’era la polizia. E c’eravamo tutti noi che oggi ricordiamo quell’impresa. Il matto ha avuto il coraggio di mostrare il suo (il nostro) lato giocoso al re ed è riuscito a domarlo. E oggi lo celebriamo perché l’impresa ci rammenta, una volta di più, che un tempo quelle torri erano là e che per domare un gigante non è necessario abbatterlo, è invece molto meglio prendersi gioco di lui.


Gianluca Gatta


Prefazione del libro di Ilaria Mazzotti e illustrato da Giuseppe Tolo

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